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ROBERTO SARFATTI
Caporale degli Alpini 6° reggimento Alpini
“Volontario di guerra, appena diciassettenne, rientrato
dalla licenza ed avendo saputo che il suo battaglione si
trovava impegnato in una importante azione contro
formidabili posizioni nemiche, si affrettava a
raggiungere la linea. Lanciandosi all’attacco di un
camminamento nemico, vi catturava da solo 30 prigionieri
ed una mitragliatrice.
Ritornato nuovamente all’ attacco di una galleria
fortemente munita, cadeva mortalmente colpito.
Case Ruggi (Val Sasso) 28 gennaio 1918
con r.d. del 9 aprile 1925 |
storia
del territorio bolognese romagnolo
il
soggiorno bolognese della Medaglia d’Oro al valore
militare
caporale
Roberto Sarfatti
di Giuseppe Martelli
aggiornata al 1° settembre 2004
con l’inserimenti della fotografia del cippo ricordo
Nel rileggere la storia alpina a tutto campo, nella
quale si ritrovano costantemente fatti e curiosità
legate al territorio bolognese romagnolo che meritano di
essere ricollocate nella nostra memoria, è emersa questa
notizia del suo trascorso bolognese.
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Roberto Sarfatti era nato da famiglia ebraica a Venezia
il 10 maggio 1900 da Cesare, avvocato, e Margherita
Grassini (1). Nel 1902 la famiglia che si trasferisce a
Milano. Qui compie gli studi fino al Politecnico dove ha
fra i professori lo scrittore Alfredo Panzini (2). Di
carattere irrequieto e pur giovanissimo d’età è già
fortemente motivato nelle sue idee che lo vedono
apertamente schierato con i movimenti patriottici
interventisti. In contrasto con la famiglia, per giusto
amore filiale, nel 1914 lascia Milano e sceglie di
proseguire gli studi a Bologna al liceo “Minghetti”. Il
capoluogo è un forte centro di movimenti interventisti
come l’Associazione Trento Trieste (2) dove i giovani
accorrono per promuovere e partecipare alle varie
manifestazioni. Il 23 maggio 1915, il giorno dopo
l’Italia entrerà in guerra, al rientro dall’ultima
grande dimostrazione interventista scrive da Bologna una
lettera al babbo per chiedere il permesso, ha appena
quindici anni quindi minorenne, di arruolarsi
volontario. – Non si può fare per nove mesi impunemente
l’interventista per rimanere a casa nel momento buono.
Io non andrò in guerra per uno stupido desiderio di
distinzione o di avventura, io ci andrò perché così
vogliono la mia coscienza, la mia anima, le mie
convinzioni. Perciò dammi il tuo permesso e me lo dia la
mamma, se no sento che, con mio grande dolore, ne farei
senza, e andrei a farmi uccidere, forse senza il vostro
permesso e la vostra benedizione….
Roberto Sarfatti
recluta al
6° Reggimento
Alpini. |
Ovviamente il permesso non giunge e, con la complicità
dell’amico Filippo Corridoni (3), che gli procura falsi
documenti riesce ad arruolarsi volontario nel 35°
Reggimento Fanteria di stanza nella città. Fiero della
sua scelta invia ai genitori, al termine del periodo di
addestramento, la prima fotografia che lo ritrae in
divisa. Scoperta dalle autorità militari la vera età
(presumo su segnalazione del padre) viene esonerato con
promessa di riprendere gli studi. Il padre però non si
fida e lo iscrive all’Istituto Nautico di Venezia e con
questo compie anche un lungo imbarco fino in Brasile a
Rio de Janeiro. Passano così due anni ed ora che ne ha
diciassette può finalmente arruolarsi. Questa volta
sceglie gli Alpini e nel settembre 1917 è destinato al
6° Reggimento presso il quale svolge istruzione a
Caprino Veronese. Il 23 novembre scrive al babbo - Il
giorno della partenza è venuto. Viva l’Italia! –
Assegnato al Battaglione Alpini “Monte Baldo” si
distingue subito per il coraggio nelle azioni di
dicembre a sbarramento di Valstagna e della Val Vecchia
ed è promosso caporale (4) per meriti di guerra ed
inviato in licenza premio. Il 10 gennaio 1918 rientra
dalla licenza per raggiungere prima possibile il
Battaglione che ha iniziato l’avanzata a difesa della
Val Sasso e Val Frenzela. Il 28 inizia l’azione di
riconquista di Val Bella, Col del Rosso, Col d’Echele,
Case Ruggi ed il caporale Sarfatti è fra i primi a
lanciarsi all’attacco riuscendo a catturare anche dei
prigionieri. Nel secondo assalto mentre si slancia verso
l’imbocco dell’ultima galleria presidiata viene colpito
da una palla in fronte. Alla sua memoria viene concessa
la Medaglia d’Oro al valore militare con la seguente
motivazione:
Volontario di guerra, appena diciassettenne, rientrato
dalla licenza ed avendo saputo che il suo battaglione si
trovava impegnato in un’importante azione contro
formidabili posizioni nemiche, si affrettava a
raggiungere la linea. Lanciatosi all’attacco di un
camminamento nemico, vi catturava da solo trenta
prigionieri e una mitragliatrice. Ritornato nuovamente
all’attacco di una galleria fortemente munita, cadeva
mortalmente ferito.
Case Ruggi (Val Sasso) 28 gennaio 1918
|
Ritratto di
Roberto Sarfatti, sul mulo
con due
compagni alpini, eseguito a
suo ricordo
dal pittore ferrarese
Virgilio
Socrate Funi, nome d’arte
Achille Funi,
apprezzato artista amico
della mamma al
quale viene
commissionato
nel corso del 1918. |
il cippo fatto erigere
dalla mamma nel 1935 al Col d’Echele, sull’altopiano
di Asiago, che contengono
le spoglie di Roberto Sarfatti, ritrovate nel
1934. L’opera era stata
progettata dall’architetto Giuseppe Terragni
Note:
(1) Margherita Grassini Sarfatti che diventerà
scrittrice, giornalista, critico d’arte ed animatrice di
uno dei salotti intellettuali più esclusivi di Milano.
(2) Alfredo Panzini,
scrittore marchigiano ma di famiglia romagnola,
pubblicherà poi nel 1924 il libro biografico “Gli Eroi –
Roberto Sarfatti”
(3) L’Associazione Trento
Trieste è presieduta in quel periodo da Angelo Manaresi,
anche lui volontario come ufficiale negli alpini,
diventerà poi dal 1929 al 1943 Presidente Nazionale
dell’Associazione Nazionale Alpini e ne pubblicherà una
bella biografia nel 1932 sulle pagine de
L’ALPINO.
(4) Filippo Corridoni,
marchigiano d’origine, sindacalista, volontario di
guerra caduto sul Carso il 23 ottobre 1915 medaglia
d’oro al valore militare “alla memoria”.
(5) Per il suo titolo di
studio che gli dava il diritto di frequentare il corso
ufficiali, vi rinuncia per raggiungere, come scrive, il
prima possibile la lotta per l’onore della Patria.
In cima. Giuseppe Terragni per
Margherita Sarfatti
architetture della memoria nel '900
a cura di J. T. Schnapp
pp. 156 con 135 ill. a col. e b/n
Euro 30,00
Vicenza, Museo
Palladio, Palazzo Barbaran da Porto
27 giugno 2004 -
9 gennaio 2005
Sul monumento del Terragni, che come
Tutti voi sapete si trova a Sasso di Asiago sul col d’Echele
dal1935, sono apparsi in questi anni molti articoli sulla stampa
Nazionale italiana ed estera. Il Mio sito www.sassodiasiago.it
per primo raccoglie questo materiale al fine di costituire un
Museo nel Nostro paese.
E’ stato da tutti Noi dimenticato, come
la Calà del Sasso, la stessa “storia”, la stessa importanza
anche se in termini diversi. Cosa abbiamo aspettato per
valorizzare queste opere? ricordo che in questi anni sono state
inviate anche delle e-mail sul motivo per cui non si tagliasse
neppure l'erba attorno al monumento. E' questa l'immagine di
Asiago?
Riporto
alcuni di questi articoli:
COSA ABBIAMO
ASPETTATO? (domanda quasi retorica)
mercoledì 30 giugno 2004 cultura
pag. 31 DAL GIORNALE DI VICENZA
La
SARFATTI,
animatrice della cultura in età fascista, perse il figlio nel
’18 ad Asiago
Margherita, da piccola ai Nani Da
adulta sul colle del dolore
di Silvio Lacasella
Chissà come, pur portando distruzione e morte, pur andando
inevitabilmente a mutilare la serenità di chi vi sopravvive,
secoli e secoli di guerre e rivoluzioni non sono mai state
in grado di ottenere una completa e definitiva
desertificazione dell’animo umano e, conseguentemente, di
ogni sua espressione artistica. Non solo così non è stato,
ma parte di quel sangue, sempre, nei momenti più difficili,
si è trasformata in purissimo inchiostro, in suono, ha
saputo rapprendersi in un grumo di colore, stendendo
formidabili e altissimi ponti sopra ai quali miracolosamente
ancora è possibile far passare la nostra sensibilità.
La storia, si dice frequentemente, ha poca memoria e ricade
nei medesimi errori. La storia o le storie? Può apparire
debole sentimentalismo, ma sino a quando non si perderà
definitivamente il contatto con la straordinaria fragilità
d’ogni singola esperienza sarà possibile riflettere
collettivamente e guardare al futuro mantenendo con esso un
rapporto di fiducia. Questo vale anche per la storia
dell’arte: fatta di scuole, di movimenti, di manifesti, ma
in fondo composta da singoli episodi. Tanto più intensi
quanto più mostrano d’essere irripetibili.
In alcuni casi, letteratura, musica ed arte hanno però
ritratto il dramma con l’intento di potenziarne l’atto
eroico, “sacralizzandone” il significato. Addirittura
intervenendo direttamente sugli eventi, in modo da congedare
in fretta il passato per partecipare alla costruzione di
un’epoca (forse) migliore. Fu il caso dei Futuristi, ad
esempio. Fu il caso, almeno nel suo sorgere, del gruppo
denominato “Novecento”, nato all’alba del Fascismo grazie
alla singolare vivacità critica di Margherita
SARFATTI.
D’altronde le premesse erano buone: “Dichiaro che è lungi da
me l’idea di incoraggiare qualcosa che possa assomigliare
all’arte di Stato: l’arte rientra nella sfera
dell’individuo…” scriveva Benito Mussolini sul “Popolo
d’Italia” il 27 marzo del 1923, in occasione della prima
mostra milanese dei sette fondatori del gruppo: Anselmo
Bucci, Leonardo Marussig, Ubaldo Oppi, Leonardo Dudreville,
Achille Funi, Emilio Malerba e Mario Sironi. Messi assieme
con l’idea di ristabilire i valori della tradizione
italiana, ripensata al fiorire della pittura
tre-quattrocentesca.
Non occorre avere particolari inclinazioni lombrosiane per
intuire che la natura non aveva fornito a Mussolini quelle
sottili corde interiori che al primo soffio sono pronte a
vibrare per l’arte, ma Margherita Grassini, sposata
diciannovenne, nel 1889, con l’avvocato socialista Cesare
SARFATTI
- la cui notorietà iniziò con l’aver difeso brillantemente
Filippo Tommaso Marinetti - andò a pizzicargli quelle del
cuore. Pazientemente, tra un incontro più o meno furtivo e
l’altro, lo convinse della necessità di costruire, alla base
di un movimento così sbilanciato ideologicamente, una forte
pedana culturale. Solo che alla fine, per fortuna, tale
pedana si rivelò incapace di reggere il peso crescente d’una
retorica bulimica e violenta. Non sorprende più di tanto,
dunque, che nel ’31 la
SARFATTI
venga ferocemente attaccata alla Camera da uno dei
personaggi più autorevoli ma, per così dire, meno “glamour”
di un regime che non si distingueva certo per eleganza di
comportamento: Farinacci.
Mussolini, che già aveva avuto modo di ricredersi e di
manifestare una certa insofferenza nei confronti di quella
congrega di artisti poco disciplinabili, il cui numero
oltretutto si andava esageratamente allargando, non la
difese ed anzi, appannatasi anche l’attrazione sentimentale,
giudicherà opportuno prendere le distanze da quel suo
influente ma non più prezioso consigliere. Passato qualche
anno, il clima si appesantisce al punto da costringere la
SARFATTI
a lasciare l’Italia. Lei, colta e raffinata frequentatrice
di salotti, tra i quali uno dei più esclusivi era
sicuramente quello della sua casa milanese di Corso Venezia.
Affascinante e ricca, instancabile viaggiatrice, fieramente
impegnata per una completa emancipazione femminile. Lei,
autrice della prima e fortunatissima biografia sul Duce
(1925), subito tradotta in moltissime lingue, all’inizio si
trasferisce a Parigi poi, non sentendosi al sicuro, si
rifugerà in Uruguay, e lì vi rimarrà sino al 1947.
Lei, nuovamente, presenza quanto mai imbarazzante: pubblica
amante ebrea (pur passata al cattolicesimo) dell’uomo guida
di un’Italia che non tarderà a sottoscrivere le medesime
leggi antisemite vergognosamente promulgate dal nazismo.
Basta e avanza. Vivrà nella generale indifferenza sino alla
morte, avvenuta nel 1961 nella sua residenza di campagna nel
comasco. All’indifferenza si aggiungerà qualcosa che molto
assomiglia al rancore anche a guerra terminata, da parte di
chi penserà sempre a lei come a un freno tirato
colpevolmente per rallentare la ruota della nostra arte
contemporanea (posizione sulla quale si trovarono per una
volta d’accordo sia Longhi che Venturi).
La mostra vicentina allestita al Centro Internazionale di
Architettura Andrea Palladio (Palazzo Barbaran da Porto - a
cura di Jeffrey T. Schnap) dedicata principalmente a
Giuseppe Terragni, architetto razionalista tra i più
originali, ne rievoca la figura trovando un centro emotivo o
una sua ragion d’essere nel Monumento che Terragni realizzò
nel 1934 ad Asiago, in località Col d’Echele nella frazione
SASSO DI ASIAGO, per ricordare il primogenito figlio della
SARFATTI,
Roberto, caduto combattendo nel ’18 proprio nei nostri
monti, durante la prima guerra mondiale.
Ma il vicentino per Margherita
SARFATTI
non rappresentò solo terra di dolore: le biografie, infatti,
descrivono questa bambina di appena quattro anni arrivare a
Villa dei Nani da Venezia, dove i Grassini abitavano e dove
lei cresceva correndo tra i lussuosi saloni di Palazzo Bembo,
sul Canal Grande, accudita e protetta nell’educazione. Ad
attenderla trovava Antonio Fogazzaro, che amava sentire
quella piccina dai capelli rossi recitare accanto agli
affreschi del Tiepolo.
Completano l’esposizione alcune opere particolarmente
significative, una sorta di album di famiglia dentro al
quale Boccioni e Sironi, i due artisti ch’essa forse in
assoluto più ammirò, sono entrambi presenti. Del primo è
appeso alle pareti il bellissimo ritratto della figlia
Fiammetta, dipinto nel 1911, cinque anni prima che il più
geniale tra i Futuristi, partito “volontario ciclista”,
morisse prematuramente cadendo da cavallo, a qualche
chilometro da Verona. Mentre il secondo coglie direttamente
il volto sereno e luminoso della
SARFATTI,
con una pittura che ancora non conosce gli spessori grigi e
silenziosi degli anni successivi. Una scultura di Libero
Andreotti, un significativo ma brutto Achille Funi. Una
bella mostra.
ROBERTO SARFATTI: LA
MADRE, L'ARCHITETTO, IL
MONUMENTO FUNEBRE
di Gastone Paccanaro
Il "Corriere della Sera" del
21.8.1934 riportava la
seguente notizia:
L'IDENTIFICAZIONE DELLA
SALMA DELLA MEDAGLIA D'ORO
SARFATTI.
Asiago, 20 agosto, notte.
Nel cimitero di Stoccareddo
presso Asiago, è stata
identificata la salma della
Medaglia d'oro, volontario
alpino diciassettenne
Roberto Sarfatti, che cadde
il 28 gennaio 1918 durante
la sanguinosa battaglia dei
Tre Monti che portò all
riconquista del Colle d'Echele.
Alla cerimonia per il
riconoscimento erano
presenti la famiglia, il
generale Gordesco,
commissario per le onoranze
ai Caduti, il sen. Giannino
Antona Traversi e il
cappellano del Battaglione
Monte Baldo del 6° Alpini al
quale apparteneva il Caduto
e che subito dopo la
battaglia aveva dato
sepoltura provvisoria alla
salma dell'Eroe.
Chi fu Roberto Sarfatti? Fu
un giovane della borghesia
veneziana, bello, colto,
irrequieto, romantico, dal
carattere fermo e
determinato. Fervente
interventista, allo scoppio
della Grande Guerra, arso
dall'amor di patria e
desideroso d'azione, era
ossessionato dall'idea di
non far tempo a parteciparvi
prima che finisse;
nell'estate del 1915, a
quindici anni, sotto falso
nome, si arruolò volontario,
ma, scoperto, fu rimandato a
casa. Grazie
all'abbassamento di un anno
dell'età richiesta per
arruolarsi, nel luglio del
1917, appena diciassettenne
era nuovamente in divisa.
Non lo faceva per essere
"utile": era consapevole che
un fucile in più, fra
milioni di fucili, sarebbe
servito a poco. Lo faceva
per "...sé stesso, per il
suo dovere, per la sua
coscienza, per l'onore di
morire".
Volle essere alpino, per
trovare impiego proprio nei
settori più caldi del
fronte, dove occorrevano
abilità e coraggio.
Durante un ennesimo attacco
fu abbattuto da un colpo in
faccia, sul Col d'Echele in
frazione di Sasso di Asiago,
alla fine del gennaio 1918,
nella prima battaglia dei
Tre Monti, quella che nelle
intenzioni dei Comandi
italiani volle
rappresentare, come
rappresentò, il primo
segnale di riscossa
dell'esercito, umiliato a
Caporetto alcuni mesi prima.
Questa la motivazione della
medaglia d'oro al valor
militare a lui conferita:
Caporale SARFATTI
Roberto, da Venezia, del 6°
Regg. Alpini. "Volontario di
guerra, diciassettenne,
lanciatosi all'attacco di un
camminamento nemico, vi
catturava da solo trenta
prigionieri ed una
mitragliatrice. Ritornato
quindi all'attacco di una
galleria fortemente munita,
vi trovava morte gloriosa."
- Case Ruggi (Val Sasso), 28
gennaio 1918.
Sùbito dopo quel fatale
attacco, i commilitoni
seppellirono il corpo di
Roberto, come quello degli
altri caduti, in una fossa
comune. Quei corpi, in
séguito, furono traslati nel
cimiterino militare di
Stoccareddo, a poca distanza
dal luogo in cui cadde
Roberto, intitolato,
significativamente, alla sua
memoria.
Nell'agosto del 1934 da
molti cimiterini militari
sparsi nel territorio
altopianese furono esumate
le salme per consegnarle al
nuovo, imponente Ossario di
Asiago. Fu in quell'occasione
che il corpo di Roberto
venne ritrovato. La madre
Margherita lo identificò.
Nel periodo fra le due
guerre mondiali, Margherita,
donna di grande intelligenza
e fascino, fu esponente di
primo piano della cultura
italiana. Fu amica di
Marconi, D'Annnunzio,
Toscanini, Marinetti, Gide,
Cocteau, Ezra Pound,
Pirandello, Josephine Baker;
conobbe i coniugi Roosvelt,
George Bernard Shaw ed
Albert Einstein. Incontrò
Benito Mussolini,
neodirettore dell' "Avanti",
nel 1912 e per circa vent'
anni ne fu amante ed
influente consigliera.
Quando egli salì al potere,
Margherita ebbe un ruolo non
marginale nella formazione
della mitologia culturale
fascista. Dopo l'abbandono
del Duce, gli dedicò la
famosa autobiografia "Dux",
tradotta inn diciotto
lingue. Tra l'altro, negli
anni Venti, fu la paladina
della libertà espressiva,
non allineata ai dettami
estetici della dittatura
fascista, di quegli artisti
comaschi dei quali faceva
parte anche Giuseppe
Terragni. A questi, giovane
architetto di grande
talento, di cui aveva
grandissima stima, affidò
senza esitazione l'incarico
di progettare e realizzare
il monumento funebre
dell'amato figlio perduto,
ed egli non deluse tanta
fiducia.
I lavori, iniziati due anni
prima, si conclusero
nell'agosto del 1938.
All'inaugurazione furono
presenti: il Re Vittorio
Emanuele III, i suoi
aiutanti, autorità civili e
militari locali e una
guardia d'onore costituita
da una Compagnia di alpini
dell'antico reggimento di
Roberto.
..."Al termine della
cerimonia gli alpini
presentarono le armi e sotto
il caldo sole estivo fecero
risuonare l'estremo saluto.
I familiari e gli ospiti
scesero quindi verso un
rifugio dove era stato
preparato un modesto pasto.
Erano mesi, da quando era
stato ritrovato il corpo del
figlio, che Margherita
tratteneva l'emozione.
Quando prese porto a tavola
mangiò pochissimo. Poi
scoppiò inn pianto. Le
lacrime, una volta che
incominciarono a scendere,
non si fermarono più.
Margherita posò il capo sul
tavolo e singhiozzò sino ad
addormentarsi. Passarono
alcuni minuti. Su, inn alto,
infuriava la bufera e al
rombo violento di un tuono
Margherita si svegliò con un
sobbalzo. Si guardò intorno
smarrita. I familiari la
condussero via e la
riportarono a ..." (1)
Questo fu l'addio di
Margherita all'adorato
figlio.
Dalle ultime case di
Contrada Sasso di Asiago,
prendendo a destra per
Contrada Ruggi, dopo circa
quattrocento metri, si
incontra, sulla destra, la
tomba-monumento di Roberto
Sarfatti, restaurata di
recente e ritornata al
primitivo splendore. Avrebbe
dovuto essere una
costruzione di ben altre
dimensioni, posta sull'altro
lato della strada, con di
fronte un'alta torre. È
possibile che problemi di
carattere economico e
difficoltà connesse al
trasporto dei materiali
occorrenti fin sulla vetta
del Col d'Echele, abbiano
invece consigliato la
realizzazione di un'opera
più modesta, sobria,
simmetrica, in blocchi
appena squadrati di pietra
estratta da cave locali, a
forma di T, intersecata da
una scalinata che conduce ad
un sovrastante cubo di
pietra. Vista dall'alto, dà
la sensazione di un corpo
umano disteso, con le
braccia spalancate, insomma,
di un Caduto. Un risultato
mirabile.
Sulla faccia anteriore del
cubo di pietra, che richiama
l'immagine di un'ara romana,
Margherita ha fatto incidere
le parole:
ROBERTO SARFATTI
VOLONTARIO DICIASSETTENNE
MEDAGLIA D'ORO
CAPORALE DEL 6° ALPINI
QUI CADDE
QUESTA TERRA RIVENDICANDO
ALL'ITALIA
VENEZIA 10.5.1900 COLLE D'ECHELE
28.1.1918.
In realtà la salma di
Roberto Sarfatti riposa
nell'ottagono centrale del
Monumento-Ossario di Asiago,
assieme a quella di altri
undici eroi, caduti sul
nostro Altipiano durante la
Prima Guerra Mondiale,
insigniti di medaglia d'oro
al valor militare:
Aprosio Giovanni (Col del
Rosso, 28/1/1918). T.
Colonnello;
Berardi Francesco (M: Zebio,
6/6/1916). Mg. Generale;
Cisersa Luigi (M: Mosciagh,
9/6/1916). Maggiore;
Cozzi Roberto (M. Valbella,
29/6/1918). Soldato;
De Bernardi Lamberto
(Gallio, 10/11/1917). S.
Tenente;
Pintus Giuseppe (M: Zebio,
10/6/1017). Cap. Maggiore;
Podda Ferdinando (M: Zebio,
10/6/1917). Serg. Maggiore;
Prestinari Marcello (Regione
Portecche, 10/6/1016).
Maggior generale;
Samoggia Alfonso (Cesuna,
7/6/1016). Soldato;
Stasi Raffaele (Meletta
davanti, 22/11/1917).
Tenente;
Turba Euclide
(Castelgomberto,
23/11/1917). Generale.
I nomi di tutti loro sono
incisi sulla base della
coppa d'oro usata, per la
consacrazione del vino,
nelle Messe che si celebrano
sull'altare della Cappella
dell'Ossario.
(1) Dall'opera "Margherita
Sarfatti" di P. V.
Cannistraro e B. R.
Sullivan, pag. 582 - Arnoldo
Mondadori Editore. |
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