Chi era    22-02-13 17.06.20

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ROBERTO SARFATTI
Caporale degli Alpini 6° reggimento Alpini

“Volontario di guerra, appena diciassettenne, rientrato dalla licenza ed avendo saputo che il suo battaglione si trovava impegnato in una importante azione contro formidabili posizioni nemiche, si affrettava a raggiungere la linea. Lanciandosi all’attacco di un camminamento nemico, vi catturava da solo 30 prigionieri ed una mitragliatrice.
Ritornato nuovamente all’ attacco di una galleria fortemente munita, cadeva mortalmente colpito.
Case Ruggi (Val Sasso) 28 gennaio 1918
con r.d. del 9 aprile 1925

 

storia del territorio bolognese romagnolo

 

il soggiorno bolognese della Medaglia d’Oro al valore militare

caporale Roberto Sarfatti

di Giuseppe Martelli

 

aggiornata al 1° settembre 2004 con l’inserimenti della fotografia del cippo ricordo

 

Nel rileggere la storia alpina a tutto campo, nella quale si ritrovano costantemente fatti e curiosità legate al territorio bolognese romagnolo che meritano di essere ricollocate nella nostra memoria, è emersa questa notizia del suo trascorso bolognese.

 

Roberto Sarfatti era nato da famiglia ebraica a Venezia il 10 maggio 1900 da Cesare, avvocato, e Margherita Grassini (1). Nel 1902 la famiglia che si trasferisce a Milano. Qui compie gli studi fino al Politecnico dove ha fra i professori lo scrittore Alfredo Panzini (2). Di carattere irrequieto e pur giovanissimo d’età è già fortemente motivato nelle sue idee che lo vedono apertamente schierato con i movimenti patriottici interventisti. In contrasto con la famiglia, per giusto amore filiale, nel 1914 lascia Milano e sceglie di proseguire gli studi a Bologna al liceo “Minghetti”. Il capoluogo è un forte centro di movimenti interventisti come l’Associazione Trento Trieste (2) dove i giovani accorrono per promuovere e partecipare alle varie manifestazioni. Il 23 maggio 1915, il giorno dopo l’Italia entrerà in guerra, al rientro dall’ultima grande dimostrazione interventista scrive da Bologna una lettera al babbo per chiedere il permesso, ha appena quindici anni quindi minorenne, di arruolarsi volontario. – Non si può fare per nove mesi impunemente l’interventista per rimanere a casa nel momento buono. Io non andrò in guerra per uno stupido desiderio di distinzione o di avventura, io ci andrò perché così vogliono la mia coscienza, la mia anima, le mie convinzioni. Perciò dammi il tuo permesso e me lo dia la mamma, se no sento che, con mio grande dolore, ne farei senza, e andrei a farmi uccidere, forse senza il vostro permesso e la vostra benedizione….

Roberto Sarfatti recluta al

6° Reggimento Alpini.

Ovviamente il permesso non giunge e, con la complicità dell’amico Filippo Corridoni (3), che gli procura falsi documenti riesce ad arruolarsi volontario nel 35° Reggimento Fanteria di stanza nella città. Fiero della sua scelta invia ai genitori, al termine del periodo di addestramento, la prima fotografia che lo ritrae in divisa. Scoperta dalle autorità militari la vera età (presumo su segnalazione del padre) viene esonerato con promessa di riprendere gli studi. Il padre però non si fida e lo iscrive all’Istituto Nautico di Venezia e con questo compie anche un lungo imbarco fino in Brasile a Rio de Janeiro. Passano così due anni ed ora che ne ha diciassette può finalmente arruolarsi. Questa volta sceglie gli Alpini e nel settembre 1917 è destinato al 6° Reggimento presso il quale svolge istruzione a Caprino Veronese. Il 23 novembre scrive al babbo - Il giorno della partenza è venuto. Viva l’Italia! – Assegnato al Battaglione Alpini “Monte Baldo” si distingue subito per il coraggio nelle azioni di dicembre a sbarramento di Valstagna e della Val Vecchia ed è promosso caporale (4) per meriti di guerra ed inviato in licenza premio. Il 10 gennaio 1918 rientra dalla licenza per raggiungere prima possibile il Battaglione che ha iniziato l’avanzata a difesa della Val Sasso e Val Frenzela. Il 28 inizia l’azione di riconquista di Val Bella, Col del Rosso, Col d’Echele, Case Ruggi ed il caporale Sarfatti è fra i primi a lanciarsi all’attacco riuscendo a catturare anche dei prigionieri. Nel secondo assalto mentre si slancia verso l’imbocco dell’ultima galleria presidiata viene colpito da una palla in fronte. Alla sua memoria viene concessa la Medaglia d’Oro al valore militare con la seguente motivazione:

Volontario di guerra, appena diciassettenne, rientrato dalla licenza ed avendo saputo che il suo battaglione si trovava impegnato in un’importante azione contro formidabili posizioni nemiche, si affrettava a raggiungere la linea. Lanciatosi all’attacco di un camminamento nemico, vi catturava da solo trenta prigionieri e una mitragliatrice. Ritornato nuovamente all’attacco di una galleria fortemente munita, cadeva mortalmente ferito.

Case Ruggi (Val Sasso) 28 gennaio 1918

 

 

 

 

Ritratto di Roberto Sarfatti, sul mulo

con due compagni alpini, eseguito a

suo ricordo dal pittore ferrarese

Virgilio Socrate Funi, nome d’arte

Achille Funi, apprezzato artista amico

della mamma al quale viene

commissionato nel corso del 1918.

 

il cippo fatto erigere dalla mamma nel 1935 al Col d’Echele, sull’altopiano

di Asiago, che contengono le spoglie di Roberto Sarfatti, ritrovate nel

1934. L’opera era stata progettata dall’architetto Giuseppe Terragni

 

Note:

(1) Margherita Grassini Sarfatti che diventerà scrittrice, giornalista, critico d’arte ed animatrice di uno dei salotti intellettuali più esclusivi di Milano.

(2) Alfredo Panzini, scrittore marchigiano ma di famiglia romagnola, pubblicherà poi nel 1924 il libro biografico “Gli Eroi – Roberto Sarfatti”

(3) L’Associazione Trento Trieste è presieduta in quel periodo da Angelo Manaresi, anche lui volontario come ufficiale negli alpini, diventerà poi dal 1929 al 1943 Presidente Nazionale dell’Associazione Nazionale Alpini e ne pubblicherà una bella biografia nel 1932 sulle pagine de L’ALPINO.

(4) Filippo Corridoni, marchigiano d’origine, sindacalista, volontario di guerra caduto sul Carso il 23 ottobre 1915 medaglia d’oro al valore militare “alla memoria”.

(5) Per il suo titolo di studio che gli dava il diritto di frequentare il corso ufficiali, vi rinuncia per raggiungere, come scrive, il prima possibile la lotta per l’onore della Patria.

 



In cima. Giuseppe Terragni per Margherita Sarfatti

architetture della memoria nel '900
a cura di J. T. Schnapp
pp. 156 con 135 ill. a col. e b/n 

Euro 30,00

Vicenza, Museo Palladio, Palazzo Barbaran da Porto

27 giugno 2004 - 9 gennaio 2005

 

 

Sul monumento del Terragni, che come Tutti voi sapete si trova a Sasso di Asiago sul  col d’Echele dal1935, sono apparsi in questi anni molti articoli sulla stampa Nazionale italiana ed estera. Il Mio sito www.sassodiasiago.it per primo raccoglie questo materiale al fine di costituire un Museo nel Nostro paese.

E’ stato da tutti Noi dimenticato, come la Calà del Sasso, la stessa “storia”, la stessa importanza anche se in termini diversi. Cosa abbiamo aspettato per valorizzare queste opere? ricordo che in questi anni sono state inviate anche delle e-mail sul motivo per cui non si tagliasse neppure l'erba attorno al monumento. E' questa l'immagine di Asiago?

Riporto alcuni di questi articoli:

COSA ABBIAMO ASPETTATO? (domanda quasi retorica)

 
 
 
 
mercoledì 30 giugno 2004 cultura pag. 31 DAL GIORNALE DI VICENZA
 


La SARFATTI, animatrice della cultura in età fascista, perse il figlio nel ’18 ad Asiago

Margherita, da piccola ai Nani Da adulta sul colle del dolore

 
 

di Silvio Lacasella



Chissà come, pur portando distruzione e morte, pur andando inevitabilmente a mutilare la serenità di chi vi sopravvive, secoli e secoli di guerre e rivoluzioni non sono mai state in grado di ottenere una completa e definitiva desertificazione dell’animo umano e, conseguentemente, di ogni sua espressione artistica. Non solo così non è stato, ma parte di quel sangue, sempre, nei momenti più difficili, si è trasformata in purissimo inchiostro, in suono, ha saputo rapprendersi in un grumo di colore, stendendo formidabili e altissimi ponti sopra ai quali miracolosamente ancora è possibile far passare la nostra sensibilità. 44c.JPG (19240 bytes)
La storia, si dice frequentemente, ha poca memoria e ricade nei medesimi errori. La storia o le storie? Può apparire debole sentimentalismo, ma sino a quando non si perderà definitivamente il contatto con la straordinaria fragilità d’ogni singola esperienza sarà possibile riflettere collettivamente e guardare al futuro mantenendo con esso un rapporto di fiducia. Questo vale anche per la storia dell’arte: fatta di scuole, di movimenti, di manifesti, ma in fondo composta da singoli episodi. Tanto più intensi quanto più mostrano d’essere irripetibili.
In alcuni casi, letteratura, musica ed arte hanno però ritratto il dramma con l’intento di potenziarne l’atto eroico, “sacralizzandone” il significato. Addirittura intervenendo direttamente sugli eventi, in modo da congedare in fretta il passato per partecipare alla costruzione di un’epoca (forse) migliore. Fu il caso dei Futuristi, ad esempio. Fu il caso, almeno nel suo sorgere, del gruppo denominato “Novecento”, nato all’alba del Fascismo grazie alla singolare vivacità critica di Margherita SARFATTI. D’altronde le premesse erano buone: “Dichiaro che è lungi da me l’idea di incoraggiare qualcosa che possa assomigliare all’arte di Stato: l’arte rientra nella sfera dell’individuo…” scriveva Benito Mussolini sul “Popolo d’Italia” il 27 marzo del 1923, in occasione della prima mostra milanese dei sette fondatori del gruppo: Anselmo Bucci, Leonardo Marussig, Ubaldo Oppi, Leonardo Dudreville, Achille Funi, Emilio Malerba e Mario Sironi. Messi assieme con l’idea di ristabilire i valori della tradizione italiana, ripensata al fiorire della pittura tre-quattrocentesca.
Non occorre avere particolari inclinazioni lombrosiane per intuire che la natura non aveva fornito a Mussolini quelle sottili corde interiori che al primo soffio sono pronte a vibrare per l’arte, ma Margherita Grassini, sposata diciannovenne, nel 1889, con l’avvocato socialista Cesare SARFATTI - la cui notorietà iniziò con l’aver difeso brillantemente Filippo Tommaso Marinetti - andò a pizzicargli quelle del cuore. Pazientemente, tra un incontro più o meno furtivo e l’altro, lo convinse della necessità di costruire, alla base di un movimento così sbilanciato ideologicamente, una forte pedana culturale. Solo che alla fine, per fortuna, tale pedana si rivelò incapace di reggere il peso crescente d’una retorica bulimica e violenta. Non sorprende più di tanto, dunque, che nel ’31 la SARFATTI venga ferocemente attaccata alla Camera da uno dei personaggi più autorevoli ma, per così dire, meno “glamour” di un regime che non si distingueva certo per eleganza di comportamento: Farinacci.
Mussolini, che già aveva avuto modo di ricredersi e di manifestare una certa insofferenza nei confronti di quella congrega di artisti poco disciplinabili, il cui numero oltretutto si andava esageratamente allargando, non la difese ed anzi, appannatasi anche l’attrazione sentimentale, giudicherà opportuno prendere le distanze da quel suo influente ma non più prezioso consigliere. Passato qualche anno, il clima si appesantisce al punto da costringere la SARFATTI a lasciare l’Italia. Lei, colta e raffinata frequentatrice di salotti, tra i quali uno dei più esclusivi era sicuramente quello della sua casa milanese di Corso Venezia. Affascinante e ricca, instancabile viaggiatrice, fieramente impegnata per una completa emancipazione femminile. Lei, autrice della prima e fortunatissima biografia sul Duce (1925), subito tradotta in moltissime lingue, all’inizio si trasferisce a Parigi poi, non sentendosi al sicuro, si rifugerà in Uruguay, e lì vi rimarrà sino al 1947.
Lei, nuovamente, presenza quanto mai imbarazzante: pubblica amante ebrea (pur passata al cattolicesimo) dell’uomo guida di un’Italia che non tarderà a sottoscrivere le medesime leggi antisemite vergognosamente promulgate dal nazismo. Basta e avanza. Vivrà nella generale indifferenza sino alla morte, avvenuta nel 1961 nella sua residenza di campagna nel comasco. All’indifferenza si aggiungerà qualcosa che molto assomiglia al rancore anche a guerra terminata, da parte di chi penserà sempre a lei come a un freno tirato colpevolmente per rallentare la ruota della nostra arte contemporanea (posizione sulla quale si trovarono per una volta d’accordo sia Longhi che Venturi).
La mostra vicentina allestita al Centro Internazionale di Architettura Andrea Palladio (Palazzo Barbaran da Porto - a cura di Jeffrey T. Schnap) dedicata principalmente a Giuseppe Terragni, architetto razionalista tra i più originali, ne rievoca la figura trovando un centro emotivo o una sua ragion d’essere nel Monumento che Terragni realizzò nel 1934 ad Asiago, in località Col d’Echele nella frazione SASSO DI ASIAGO, per ricordare il primogenito figlio della SARFATTI, Roberto, caduto combattendo nel ’18 proprio nei nostri monti, durante la prima guerra mondiale.
Ma il vicentino per Margherita SARFATTI non rappresentò solo terra di dolore: le biografie, infatti, descrivono questa bambina di appena quattro anni arrivare a Villa dei Nani da Venezia, dove i Grassini abitavano e dove lei cresceva correndo tra i lussuosi saloni di Palazzo Bembo, sul Canal Grande, accudita e protetta nell’educazione. Ad attenderla trovava Antonio Fogazzaro, che amava sentire quella piccina dai capelli rossi recitare accanto agli affreschi del Tiepolo.
Completano l’esposizione alcune opere particolarmente significative, una sorta di album di famiglia dentro al quale Boccioni e Sironi, i due artisti ch’essa forse in assoluto più ammirò, sono entrambi presenti. Del primo è appeso alle pareti il bellissimo ritratto della figlia Fiammetta, dipinto nel 1911, cinque anni prima che il più geniale tra i Futuristi, partito “volontario ciclista”, morisse prematuramente cadendo da cavallo, a qualche chilometro da Verona. Mentre il secondo coglie direttamente il volto sereno e luminoso della SARFATTI, con una pittura che ancora non conosce gli spessori grigi e silenziosi degli anni successivi. Una scultura di Libero Andreotti, un significativo ma brutto Achille Funi. Una bella mostra.

 

ROBERTO SARFATTI: LA MADRE, L'ARCHITETTO, IL MONUMENTO FUNEBRE
di Gastone Paccanaro

Il "Corriere della Sera" del 21.8.1934 riportava la seguente notizia:
L'IDENTIFICAZIONE DELLA SALMA DELLA MEDAGLIA D'ORO SARFATTI.
Asiago, 20 agosto, notte.
Nel cimitero di Stoccareddo presso Asiago, è stata identificata la salma della Medaglia d'oro, volontario alpino diciassettenne Roberto Sarfatti, che cadde il 28 gennaio 1918 durante la sanguinosa battaglia dei Tre Monti che portò all riconquista del Colle d'Echele. Alla cerimonia per il riconoscimento erano presenti la famiglia, il generale Gordesco, commissario per le onoranze ai Caduti, il sen. Giannino Antona Traversi e il cappellano del Battaglione Monte Baldo del 6° Alpini al quale apparteneva il Caduto e che subito dopo la battaglia aveva dato sepoltura provvisoria alla salma dell'Eroe.

Chi fu Roberto Sarfatti? Fu un giovane della borghesia veneziana, bello, colto, irrequieto, romantico, dal carattere fermo e determinato. Fervente interventista, allo scoppio della Grande Guerra, arso dall'amor di patria e desideroso d'azione, era ossessionato dall'idea di non far tempo a parteciparvi prima che finisse; nell'estate del 1915, a quindici anni, sotto falso nome, si arruolò volontario, ma, scoperto, fu rimandato a casa. Grazie all'abbassamento di un anno dell'età richiesta per arruolarsi, nel luglio del 1917, appena diciassettenne era nuovamente in divisa. Non lo faceva per essere "utile": era consapevole che un fucile in più, fra milioni di fucili, sarebbe servito a poco. Lo faceva per "...sé stesso, per il suo dovere, per la sua coscienza, per l'onore di morire".
Volle essere alpino, per trovare impiego proprio nei settori più caldi del fronte, dove occorrevano abilità e coraggio.
Durante un ennesimo attacco fu abbattuto da un colpo in faccia, sul Col d'Echele in frazione di Sasso di Asiago, alla fine del gennaio 1918, nella prima battaglia dei Tre Monti, quella che nelle intenzioni dei Comandi italiani volle rappresentare, come rappresentò, il primo segnale di riscossa dell'esercito, umiliato a Caporetto alcuni mesi prima.
Questa la motivazione della medaglia d'oro al valor militare a lui conferita:
Caporale SARFATTI Roberto, da Venezia, del 6° Regg. Alpini. "Volontario di guerra, diciassettenne, lanciatosi all'attacco di un camminamento nemico, vi catturava da solo trenta prigionieri ed una mitragliatrice. Ritornato quindi all'attacco di una galleria fortemente munita, vi trovava morte gloriosa." - Case Ruggi (Val Sasso), 28 gennaio 1918.
Sùbito dopo quel fatale attacco, i commilitoni seppellirono il corpo di Roberto, come quello degli altri caduti, in una fossa comune. Quei corpi, in séguito, furono traslati nel cimiterino militare di Stoccareddo, a poca distanza dal luogo in cui cadde Roberto, intitolato, significativamente, alla sua memoria.
Nell'agosto del 1934 da molti cimiterini militari sparsi nel territorio altopianese furono esumate le salme per consegnarle al nuovo, imponente Ossario di Asiago. Fu in quell'occasione che il corpo di Roberto venne ritrovato. La madre Margherita lo identificò. Nel periodo fra le due guerre mondiali, Margherita, donna di grande intelligenza e fascino, fu esponente di primo piano della cultura italiana. Fu amica di Marconi, D'Annnunzio, Toscanini, Marinetti, Gide, Cocteau, Ezra Pound, Pirandello, Josephine Baker; conobbe i coniugi Roosvelt, George Bernard Shaw ed Albert Einstein. Incontrò Benito Mussolini, neodirettore dell' "Avanti", nel 1912 e per circa vent' anni ne fu amante ed influente consigliera. Quando egli salì al potere, Margherita ebbe un ruolo non marginale nella formazione della mitologia culturale fascista. Dopo l'abbandono del Duce, gli dedicò la famosa autobiografia "Dux", tradotta inn diciotto lingue. Tra l'altro, negli anni Venti, fu la paladina della libertà espressiva, non allineata ai dettami estetici della dittatura fascista, di quegli artisti comaschi dei quali faceva parte anche Giuseppe Terragni. A questi, giovane architetto di grande talento, di cui aveva grandissima stima, affidò senza esitazione l'incarico di progettare e realizzare il monumento funebre dell'amato figlio perduto, ed egli non deluse tanta fiducia.
I lavori, iniziati due anni prima, si conclusero nell'agosto del 1938. All'inaugurazione furono presenti: il Re Vittorio Emanuele III, i suoi aiutanti, autorità civili e militari locali e una guardia d'onore costituita da una Compagnia di alpini dell'antico reggimento di Roberto.
..."Al termine della cerimonia gli alpini presentarono le armi e sotto il caldo sole estivo fecero risuonare l'estremo saluto. I familiari e gli ospiti scesero quindi verso un rifugio dove era stato preparato un modesto pasto. Erano mesi, da quando era stato ritrovato il corpo del figlio, che Margherita tratteneva l'emozione. Quando prese porto a tavola mangiò pochissimo. Poi scoppiò inn pianto. Le lacrime, una volta che incominciarono a scendere, non si fermarono più. Margherita posò il capo sul tavolo e singhiozzò sino ad addormentarsi. Passarono alcuni minuti. Su, inn alto, infuriava la bufera e al rombo violento di un tuono Margherita si svegliò con un sobbalzo. Si guardò intorno smarrita. I familiari la condussero via e la riportarono a ..." (1)
Questo fu l'addio di Margherita all'adorato figlio.
Dalle ultime case di Contrada Sasso di Asiago, prendendo a destra per Contrada Ruggi, dopo circa quattrocento metri, si incontra, sulla destra, la tomba-monumento di Roberto Sarfatti, restaurata di recente e ritornata al primitivo splendore. Avrebbe dovuto essere una costruzione di ben altre dimensioni, posta sull'altro lato della strada, con di fronte un'alta torre. È possibile che problemi di carattere economico e difficoltà connesse al trasporto dei materiali occorrenti fin sulla vetta del Col d'Echele, abbiano invece consigliato la realizzazione di un'opera più modesta, sobria, simmetrica, in blocchi appena squadrati di pietra estratta da cave locali, a forma di T, intersecata da una scalinata che conduce ad un sovrastante cubo di pietra. Vista dall'alto, dà la sensazione di un corpo umano disteso, con le braccia spalancate, insomma, di un Caduto. Un risultato mirabile.
Sulla faccia anteriore del cubo di pietra, che richiama l'immagine di un'ara romana, Margherita ha fatto incidere le parole:


ROBERTO SARFATTI
VOLONTARIO DICIASSETTENNE
MEDAGLIA D'ORO
CAPORALE DEL 6° ALPINI
QUI CADDE
QUESTA TERRA RIVENDICANDO
ALL'ITALIA
VENEZIA 10.5.1900 COLLE D'ECHELE 28.1.1918.


In realtà la salma di Roberto Sarfatti riposa nell'ottagono centrale del Monumento-Ossario di Asiago, assieme a quella di altri undici eroi, caduti sul nostro Altipiano durante la Prima Guerra Mondiale, insigniti di medaglia d'oro al valor militare:
Aprosio Giovanni (Col del Rosso, 28/1/1918). T. Colonnello;
Berardi Francesco (M: Zebio, 6/6/1916). Mg. Generale;
Cisersa Luigi (M: Mosciagh, 9/6/1916). Maggiore;
Cozzi Roberto (M. Valbella, 29/6/1918). Soldato;
De Bernardi Lamberto (Gallio, 10/11/1917). S. Tenente;
Pintus Giuseppe (M: Zebio, 10/6/1017). Cap. Maggiore;
Podda Ferdinando (M: Zebio, 10/6/1917). Serg. Maggiore;
Prestinari Marcello (Regione Portecche, 10/6/1016). Maggior generale;
Samoggia Alfonso (Cesuna, 7/6/1016). Soldato;
Stasi Raffaele (Meletta davanti, 22/11/1917). Tenente;
Turba Euclide (Castelgomberto, 23/11/1917). Generale.

I nomi di tutti loro sono incisi sulla base della coppa d'oro usata, per la consacrazione del vino, nelle Messe che si celebrano sull'altare della Cappella dell'Ossario.

(1) Dall'opera "Margherita Sarfatti" di P. V. Cannistraro e B. R. Sullivan, pag. 582 - Arnoldo Mondadori Editore.

 

 

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 27-06-05