Un soggetto intrinsecamente funereo, triste, cupo che l’apparato
allestitivo riesce, per scelta, a smaterializzare;
il contenitore messo in opera entra in sintonia e
relazione con le problematiche che i curatori hanno
cercato di indagare, ovvero l’interesse
dell’architettura moderna per un "monumentalismo
anti-monumentale che al rifiuto del decorativismo e
al perseguimento della mobilità, leggerezza e
funzionalità, sposa una peculiare immaginazione
archeologica" (Jeffrey T. Schnapp – Il monumento
senza stile saggio all’interno del catalogo
della mostra). Ecco allora la scelta di rivestire le
quattro grandi principali sale in cui si snoda
l’esposizione dei disegni, quadri, ma anche modelli
e volumi tridimensionali con un involucro di
apparente "carta bianca" (in realtà tela di cotone
apprettata con acqua e colla) che avviluppa
completamente ed in modo organico lo spazio
rendendolo intangibile, generando una evanescenza
che è trasmessa pure alla severità razionalista
delle rappresentazioni esposte. Anche i plastici dei
monumenti – e sono qui ricostruiti in scala
progetti, tra gli altri, di Walter Gropius, Adolf
Loos, Kay Fisker, Ludwig Mies van der Rhoe, Aldo
Rossi, Carlo Scarpa – comparabili tra loro per avere
la stessa scala di riduzione, traggono vantaggio
dall’informale trattamento del contenitore. Non solo
le superfici parietali, ma anche il soffitto è stato
mascherato nel caso specifico con una sorta di
panneggio in tela rimboccante, arricchito da
inscrizioni per la verità non molto "chiare" nei
riferimenti. Un artificio questo del ricoprimento
totale che fa perdere misurabilità allo spazio e
coinvolge in un clima di atemporalità alla visita.
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