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Margherita Sarfatti

 

Terrragni e lo spazio immateriale

di Roberto Zanon

Involucro, nuvola, accampamento, leggerezza sono alcune parole-chiave che possono introdurre e poi accompagnare alla visita della mostra, allestita da Elisabetta Terragni, IN CIMA /Giuseppe Terragni per Margherita Sarfatti.

 


 


 


 

Architetture della memoria nel Novecento". Ospitato nelle sale al piano terra di Palazzo Barbaran da Porto a Vicenza, l’evento espositivo è generato dalla trattazione, dal punto di vista progettuale, di un argomento austero: l’architettura commemorativa funebre nella concezione costruttiva razionalista del ‘900, ponendo come centro di riflessione, di indagine e di comparazione il monumento a Roberto Sarfatti sul Col d’Echele che Terragni disegna e realizza tra il 1934 e 1935.

 


 


 


 


 


 


 

Un soggetto intrinsecamente funereo, triste, cupo che l’apparato allestitivo riesce, per scelta, a smaterializzare; il contenitore messo in opera entra in sintonia e relazione con le problematiche che i curatori hanno cercato di indagare, ovvero l’interesse dell’architettura moderna per un "monumentalismo anti-monumentale che al rifiuto del decorativismo e al perseguimento della mobilità, leggerezza e funzionalità, sposa una peculiare immaginazione archeologica" (Jeffrey T. Schnapp – Il monumento senza stile saggio all’interno del catalogo della mostra). Ecco allora la scelta di rivestire le quattro grandi principali sale in cui si snoda l’esposizione dei disegni, quadri, ma anche modelli e volumi tridimensionali con un involucro di apparente "carta bianca" (in realtà tela di cotone apprettata con acqua e colla) che avviluppa completamente ed in modo organico lo spazio rendendolo intangibile, generando una evanescenza che è trasmessa pure alla severità razionalista delle rappresentazioni esposte. Anche i plastici dei monumenti – e sono qui ricostruiti in scala progetti, tra gli altri, di Walter Gropius, Adolf Loos, Kay Fisker, Ludwig Mies van der Rhoe, Aldo Rossi, Carlo Scarpa – comparabili tra loro per avere la stessa scala di riduzione, traggono vantaggio dall’informale trattamento del contenitore. Non solo le superfici parietali, ma anche il soffitto è stato mascherato nel caso specifico con una sorta di panneggio in tela rimboccante, arricchito da inscrizioni per la verità non molto "chiare" nei riferimenti. Un artificio questo del ricoprimento totale che fa perdere misurabilità allo spazio e coinvolge in un clima di atemporalità alla visita.

 


 


 


 

Del resto è questa una mostra che andrebbe visitata da soli o comunque con poche persone presenti perché l’habitat sapientemente creato suggerisce un raccoglimento che come priorità richiede il silenzio. In questo caso la non presenza di un accompagnamento sonoro - il più delle volte un complemento importante nella creazione di un’atmosfera allestitiva - diventa un scelta che amplifica i valori introspettivi. Fondamentale è stata poi la risoluzione del problema illuminotecnico che esigeva la salvaguardia, in termini di lux impiegati, dei molti delicati disegni presenti e contemporaneamente la visione delle videoproiezioni che in modo discreto sono state fatte fluttuare centralmente sopra alcune teche espositive. Tutte le luci sono state posizionate dietro l’involucro di illusoria consistenza cartacea facendo assumere a questo discontinui ma modulati effetti di cangianza che consentono comunque una perfetta ed equilibrata visione delle varie opere.

Un’ultima sala - certamente la più angusta - è dedicata ad accogliere la composizione di un grande pannello dato dall’assemblaggio di fotografie in bianco e nero e campioni di pietre, marmi e graniti. Qui purtroppo, certamente a causa degli spazi vincolati che il palazzo offre, l’incantesimo ricreato nelle sale precedenti si dissolve e la "matericità dei materiali" riacquista quella gravità che gli sforzi degli architetti in mostra - Giuseppe Terragni in prima fila - cercarono, e non è un paradosso, di far lievitare attraverso la composizione delle forme.


IN CIMA. Giuseppe Terragni per Margherita Sarfatti. Architetture della memoria nel ‘900
Palazzo Barbaran da Porto, Vicenza
Dal 26 giugno 2004 al 9 gennaio 2005


 

Articolo inserito l'1 luglio 2004

 

 

 

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Ultimo aggiornamento: 16-06-05